Prima di pubblicare una notizia proveniente da una fonte confidenziale, il giornalista deve fare gli opportuni controlli: senza questo passaggio, il rischio è che, nel caso la notizia si riveli poi falsa, lo stesso giornalista, la testata e il suo direttore siano responsabili in solido e debbano risarcire i danni ai soggetti diffamati.
Il principio si desume da una recente ordinanza della sezione civile della Corte di Cassazione (n. 1627/2024) che ha confermato le decisioni dei tre gradi di giudizio precedenti, obbligando un cronista di giudiziaria (con direttore e testata), a un risarcimento da 65 mila euro verso una persona ritenuta diffamata, difesa dagli avvocati Sabrina Peron e Umberto Fantini. Il cronista aveva scritto un articolo che dava conto di un arresto, dopo aver ricevuto in via confidenziale dalla polizia giudiziaria una e-mail priva di firma. La notizia però si è rivelata poi falsa. La Cassazione ha considerato il fatto che non ci siano stati i debiti controlli e a nulla è valsa la tesi della difesa secondo cui l’email proveniva da un account ufficiale della polizia: non si trattava infatti di una fonte ufficiale (conferenza stampa, documento, comunicato) e in quanto tale era necessario prendere tutte le precauzioni, eventualmente non pubblicando l’articolo se la verifica non fosse stata possibile.
Pubblicare notizie lesive dell’onore è diritto di cronaca sotto determinate condizioni: vi deve essere la verità oggettiva (o perlomeno putativa, la convinzione che la notizia sia vera); l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e la correttezza dell’esposizione.
«Ne consegue che se la notizia è ricevuta dal giornalista in modo irrituale ed egli non ha la possibilità di controllarla», spiega Peron, «a causa dell’inaccessibilità delle fonti di verifica coincidenti con gli organi e gli atti dell’indagine giudiziaria, tale inaccessibilità, lungi dal comportare l’esonero dall’obbligo di controllo, implica la non pubblicabilità della notizia, dato che non sussiste l’esimente del diritto di cronaca, neppure sotto il profilo putativo. Fermo restando, ovviamente, che non è certo esigibile dal giornalista che attinga la notizia di fonte giudiziaria ufficiale, di replicare in toto con una sua inchiesta privata agli esiti dell’indagine pubblica per essere legittimato poi a diffondere questi ultimi».
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